
Per vedere una cosa bisogna comprenderla.
Questa frase di Borges apre il depliant pubblicitario dell'Atlante dei Beni Culturali della Provincia di Taranto. Siamo stati in terra di Magna Grecia. Ci siamo stati in agosto fin verso la fine e questo è il nostro resoconto. Abbiamo osservato mangiato e bevuto il tratto di mare che va da Taranto fin verso Gallipoli, percorrendolo in profondità e raggiungendo la sponda opposta, quella adriatica, precisamente verso Polignano a mare. Di questo peregrinare dirò innanzitutto del cibo, poi del mare e del vino. Quanto al palato, amici miei, non saprei da dove cominciare. Mentre lungo la fascia litoranea era tutto un tumulto di pucce, bombette, bomboloni, focacce ripiene cipolla e olive e il pesce talmente fresco da esserci lo storico detto "fricenno, mancianno!", noi a pochi metri dal mare cercando l'ombra e il maestrale non ci siamo fatti mancare niente. Precisamente localizzati in quel di Pulsano, vicinissimi al decadente lido Silvana, che prende il nome dalla Pampanini che lo battezzò, abbiamo potuto degustare tutte le primizie dell'entroterra favoriti da conoscenze campagnole. Dai fichi d'India all'uva di Vraca e la primaticcio (l'uva nera, quella del Primitivo); i latticini della valle d'Itria, la carne di Ceglie e di Crispiano e quindi filetto di cavallo e cavallino, poi erbetta di campagna selvatica, burrate e stracciatelle, la giuncata, le pampanelle nella foglia di fico servite e distribuite sulla spiaggia dai contadini, le lumache col pomodorino, con la menta e l'aglio. I ricci appena pescati e mangiati crudi a fine pasto. La pagghiotta, un mirabilante frutto appartenente alla famiglia del cetriolo il cui nome cambia a distanza di pochi chilometri, per diventare cummarazzo in territorio di Grottaglie, quindi spiuleddhra, spuredda bianca, spuredda nera, spuredda pelosa ... direi che è meraviglioso! L'olio di frantoio a condire tutto e una lieve, leggera spruzzata di sale. Se è vero, come abbiamo detto in passato, che l'equilibrio si nasconde nella semplicità per diventare eleganza, è chiaro che un prodotto della terra al suo massimo qualitativo non ha bisogno di niente altro, basta a se stesso. Così poche gocce d'olio - di quell'olio! - su della rucola appena colta sono state pura poesia. Come contemplare il mare al tramonto accoccolati in spiaggia nella baietta del Pescatore. E veniamo al mare. Mare vuol dire territorio, ed io vi dirò che per lunghi tratti questa costa tarantina mi è parsa puro Messico. Come all'alba, di ritorno da Gallipoli, abbiamo contemplato il litorale in silenzio. Ricordandoci degli anziani seduti fuori la porta, appena sulla strada e al passare delle automobili, delle case bianche e basse, di quella stessa aria calda come fossimo a La Paz. Mare incredibilmente bello, dalla sabbia sottilissima e dal colore smeraldo. Il rapporto di questa gente col mare è incredibile. A mare si vive, sempre e per tutta l'estate. Sporchi di sabbia notte e giorno. Già lontanissimo dal mare campano o basilisco, le cui coste rocciose rendono più difficile l'approdo creando un altro tipo di legame. C'è mare e mare, e questo mare, capirò un giorno, significa tante cose. Mentre Taranto brucia, città oscura e decadentissima, dove l'Ilva è madre buona e arcigna insieme col suo dare a mangiare e portare via. Siamo stati poi a Polignano a Mare, raggiungendo l'Adriatico e scoprendo un luogo meraviglioso le cui coste furono approdo di contrabbandieri provenienti dal Montenegro.

Stefano Tripodi
FONTE
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