lunedì 18 gennaio 2010

[Non chiamatela] Antropologia del dove, del quando & del caldo metropolitano!


Le antropologie ce le eravamo quasi scordate. 
Io per primo le avevo dimenticate, mettendo da parte una briciola sostanziosa del Maiale. In realtà, e sinceramente, mi appaiono ora come un modo volgare di raccontare altro oltre le ricette ed i luoghi ai quali siamo abituati da tempo. Dico volgare perchè quelli che furono tentativi maldestri di cimentarsi in un'antropologia sono ora, e suona pure meglio, racconti di vita con annesse riflessioni. Il Maiale mangia & beve, ingrassa e si sollazza.. ma prova anche a riflettere qualche volta. A pancia piena si intende. Dunque anche a Roma da qualche giorno il caldo afoso e l'immancabile venticello sono apparsi. Se ne accorgono le signore sui tram, le studentesse accalorate per strada e gli impiegati vestiti di tutto punto, giacca e cravatta, camicia a maniche lunghe e occhiali da sole. Io Roma sto per lasciarla. Una serie di impegni e la voglia di andare mi portano lontano. Lascio anche casa, che riprenderò a settembre/ottobre chissà in quale quartiere, municipio o borgata. Negli ultimi giorni passo volentieri le ore che precedono il buio alla finestra. Una birra gelata a farmi compagnia e i miei occhi puntati sulla piazza. Dalla mia postazione privilegiata osservo le persone nel caotico e rumoroso atto dello spostarsi. Un amico non amico mi parlava di traiettorie. Una notte sulla Casilina, dall'ultimo piano di un palazzetto, provò a spiegarmi la sua teoria. Una teoria contemplativa, che non tentava per forza di giungere a una conclusione. Quando sto quassù, mi diceva, osservo la gente muoversi e traccio per ognuno la sua traiettoria. Immagino flussi di linee che compongono un mosaico di vite, fatti e accadimenti. Spesso, ovvio, queste si mescolano, si intrecciano e a me pare quasi che le vite di quello o quell'altro possano scontrarsi, congiungersi, arrotolarsi insieme. Sarà stata l'ebbrezza ma a me piacque quella teoria, questo modo di partecipare alla vita senza parteciparvi. Un osservatorio del resto ha sempre il privilegio di lasciare spazio alla fantasia. Così io butto i miei occhi sulla piazza, sul sole che cala, sui wine bar che si riempiono, sul venticello che ritorna, sulla mia birra e su tutta la mia immaginazione. Mi faccio domande senza attendere risposte. Metto su un pò di musica e lascio spazio alla testa. Dove andrà quella ragazza con la gonna bianca, che giornata avrà avuto, chi ama, che pensa, cosa mangia. E quel signore anziano che a stento riesce a trascinare la busta che porta con se? Tutto mi appare così delicato. Leggero e irresistibile. Il mondo, o parte di esso, si muove ai miei piedi. Poco al di sotto di essi. Ed è uno scomporsi di suoni, di teste e silouette, di macchie di colore sul fondo grigio dell'asfalto. Tra i semafori e i tram, il bar Regina e quei due buffi ometti bianchi. Centinaia di teste si muovono per andare da qualche parte. Per andare dove devono andare. Finita la birra mi butto sul letto e chiudo gli occhi. Rimango immobile per un pò, poi sento l'immancabile languore. Apro gli occhi e penso a cosa cucinare. Sono giorni in cui mangio sempre da solo e quelle, credetemi, sono le cucinate migliori. Come sempre accade. Un biscotto di grano con olio di frantoio, pomodori di Sicilia, basilico, finocchietto e pecorino. Una frittata alla Sannita, mozzarelline ripiene di verdurine di stagione tagliate a cubetti piccolissimi e fritte in poco olio. Fiori di zucca, insalata di frutta e verdura, melanzane grigliate con mentuccia, yogurt, fragole, ciliege, pesche, miele e cereali. Un sorso di amaro fatto in casa e passa la paura. Paura del dove e del quando, dell'andare, produrre, incontrare, poi ritornare e ricominciare. Quali sono e saranno le mie traiettorie? Una dolce paura accarezzata dallo stordimento di una giornata afosa passata in giro tra cose da fare, caffè con crema e telefonate. "Devo prendere le pellicole ci vediamo a Ottaviano, aperitivo alle 18 a San Lorenzo, una casa da vedere alle 17, ma poi ce la fai a venire?! C***o non ho tirato fuori i panni dalla lavatrice, ma domani vieni alla cena, cucini tu? Chiama la scuola dì che non vai alla riunione, no ma se torno prima ci passo un secondo. Ma quella del giornale l'hai più vista? Mamma, allora non torno ci vediamo a fine mese direttamente. La digitale in assistenza. Oh, ma chi era quella?! Non lo so! Questo caldo mi stressa, mi fa sudare, ho sempre voglia di entrare in un bar e sciacquarmi il viso. Stare qui dentro, in mezzo alle cose mi prende male. Dovrei anche cucinare qualcosa e scattare due foto. Il Maiale Ubriaco. Oramai ha preso forma dentro di me. Mi aspetto sempre di incontrarlo, magari la notte quando mi alzo per andare a bere. Svolto l'angolo e zac! mi si piantona davanti. Grosso e grasso, dritto sulle zampe anteriori. E ride, e mi guarda, e ride. "Mi avete creato voi, ora dovete seguire la mia traiettoria!" Oh no, o mio Dio. No ma è il caldo, il caldo che rimpalla sul cemento di questa strana città, un pò metropoli un pò paese mi sta dando le allucinazioni. Non ci posso restare qua dentro. Dentro alle strade a fare le cose, a telefonare, a sentirmi come Bukowski in quel racconto visionario che era "6 pollici". ... Era carina quella, ti ha salutato e vuoi dirmi che non la conosci? Ste ma dove vai? Oh? ... Vado alla mia finestra. Ho comprato la birra. Vado a casa, no non vengo alla cena, non esco stasera. E non mangio. Fino a prima di partire resto alla finestra. Ascolto un pò di musica e osservo le traiettorie. Traiettorie? Mi sa che il caldo ti ha dato alla testa!
Stefano Tripodi

FONTE

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